Quadro giuridico relativo alla libertà religiosa ed effettiva applicazione
La Costituzione della Repubblica Democratica del Congo (RDC) del 2006 sancisce il carattere laico dello Stato e proclama il rispetto del pluralismo religioso. La Carta proibisce ogni forma di discriminazione per motivi di origine etnica, religione o opinione (articolo 13), e stabilisce che nel Paese tutte le persone hanno il diritto di manifestare liberamente la propria religione in pubblico e in privato (articolo 22). Vi è la libertà di edificare chiese e si possono raccogliere fondi per attività religiose sia a livello nazionale che all’estero. Tutti i gruppi religiosi sono liberi di fare proselitismo e di insegnare la propria religione ai bambini. Alcuni religiosi predicano addirittura nei mercati, agli incroci delle strade e sugli autobus pubblici.
La religione è materia di insegnamento nelle scuole pubbliche e fa parte del programma di studi statale. L’articolo 45 della Costituzione afferma che «gli istituti educativi nazionali devono assicurare agli alunni minorenni, previa richiesta dei loro genitori e in collaborazione con le autorità religiose, un’istruzione conforme alle loro convinzioni religiose».
Nel 1977, la Repubblica Democratica del Congo (all’epoca Repubblica dello Zaire) ha firmato la “Convenzione delle scuole” con le comunità cattolica, protestante, kimbanguista e islamica. Nel 2016 il Paese ha firmato un accordo quadro con la Santa Sede su questioni di interesse comune, tra cui «le istituzioni educative cattoliche, l’insegnamento della religione nelle scuole, le attività assistenziali e caritative della Chiesa, la cura pastorale nelle forze armate e nelle strutture carcerarie e ospedaliere, le tasse sulla proprietà e infine l’ottenimento di visti d’ingresso e di permessi di soggiorno per il personale religioso».
Alcune comunità religiose gestiscono un ampio numero di istituzioni, come scuole, centri sanitari, orfanotrofi e media. Per quanto riguarda i media, la maggior parte dei canali televisivi e delle stazioni radio di Kinshasa appartengono a diverse comunità cristiane.
Sebbene lo Stato sia laico, la Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) e il Consiglio ecumenico del Congo (COE) svolgono un ruolo significativo negli affari politici, prestando attenzione alle aree sociali, educative ed economiche.
Inoltre, nell'articolo 74, viene menzionato Dio e il Presidente eletto deve «giurare davanti a Dio e alla Nazione» durante il giuramento.
Episodi rilevanti e sviluppi
Durante il periodo di riferimento, le regioni orientali della Repubblica Democratica del Congo hanno continuato a soffrire a causa del terrorismo, con rapimenti, atrocità e uccisioni, e sfollamenti di massa concentrati in particolare nella regione di Beni. Sebbene le aree di confine orientali del Congo ospitino più di 100 milizie diverse, continuano a verificarsi attacchi ripetuti e gravi contro leader religiosi e civili da parte del gruppo ribelle islamista denominato Forze Democratiche Alleate (ADF). Il gruppo armato ADF, con combattenti provenienti principalmente dall'Uganda e dalla Repubblica Democratica del Congo, è un gruppo estremista islamico con un'agenda espansionistica che nel 2019 ha giurato fedeltà allo Stato Islamico. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti «ha designato il gruppo come affiliato dell'IS e Organizzazione Terroristica Estera (FTO) nel 2021». L'impatto sulla popolazione civile è stato catastrofico. Secondo i dati dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per la stabilizzazione nella Repubblica Democratica del Congo (MONUSCO), «nel 2021 le Forze Democratiche Alleate avrebbero ucciso oltre 1.300 civili, ovvero quasi il 50 percento in più rispetto al 2020». L'ONU ha definito «crimini contro l'umanità e di guerra» le violenze commesse dall'ADF che includono uccisioni di civili, rapimenti e utilizzo di bambini soldato.
Secondo l'Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA), «le province del Nord Kivu e dell'Ituri contano rispettivamente 1,8 milioni e 1,7 milioni di sfollati interni, con una percentuale sproporzionatamente alta di donne e bambini. In tutto il Congo vi sono oltre cinque milioni di sfollati interni. Si tratta di uno dei numeri più alti in Africa».
Durante il periodo in esame, vi sono stati molteplici attacchi contro militari e civili, molti dei quali attribuiti alle Forze Democratiche Alleate, sebbene raramente il gruppo militante abbia rivendicato gli attentati. Il seguente elenco di incidenti è quindi da considerarsi esclusivamente rappresentativo.
Il 5 gennaio 2021, almeno 22 civili sono stati uccisi in un raid notturno di presunti estremisti dell'ADF in un villaggio dell’area orientale della Repubblica Democratica del Congo. Altri 17 erano stati uccisi a colpi di arma da fuoco in un villaggio vicino, la settimana precedente.
Il 14 gennaio, 46 civili sono stati uccisi nell’ambito di un attacco presumibilmente commesso da militanti delle Forze Democratiche Alleate in un villaggio nell'est della Repubblica Democratica del Congo.
Il 7 febbraio, almeno 12 agricoltori del villaggio di Mabule sono stati uccisi durante la notte nell'est della Repubblica Democratica del Congo da sospetti combattenti delle Forze Democratiche Alleate (ADF) .
Il 9 febbraio, dieci persone sono state accoltellate a morte in un attacco attribuito all'ADF a Kithovirwa, vicino a Mwenda.
Il 15 febbraio, sospetti islamisti delle Forze Democratiche Alleate hanno ucciso tre soldati e 13 civili e hanno incendiato una chiesa cattolica.
Il 16 febbraio, almeno 10 persone nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo sono state uccise da presunti membri della milizia ADF. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) ha dichiarato che nel 2020 «oltre 2.000 civili sono stati assassinati nel Nord e Sud Kivu e nella provincia di Ituri».
Il 24 marzo, otto persone sono state uccise in un attacco commesso da uomini armati identificati come ribelli dell'ADF nel villaggio di Aveyi, a circa 15 km da Oicha, il capoluogo del territorio di Beni. Venti civili sono stati presi in ostaggio.
Tra il 30 e il 31 marzo, ventinove civili sono stati assassinati e altri cinquanta sequestrati in diversi attentati attribuiti a combattenti dell'ADF nei villaggi di Moliso, Beu-Manyama e Musangwa nel territorio di Beni, nel Nord Kivu.
Il 7 aprile, a seguito di un viaggio conoscitivo effettuato a gennaio nel Nord Kivu e nell'Ituri da una delegazione congiunta della Conferenza episcopale e dell'Associazione delle Conferenze ecclesiastiche dell'Africa Centrale (ACEAC), i vescovi cattolici hanno diffuso un comunicato in cui facevano appello ai leader del Paese affinché riorientassero le loro strategie politica, militare e umanitaria. Tra le questioni identificate, l’episcopato ha fatto riferimento anche alla connotazione religiosa del conflitto nella zona di Beni-Butembo (provincia del Nord Kivu), evidenziando come «l'islamizzazione della regione rappresenti una sorta di strategia più profonda per influenzare negativamente a lungo termine la situazione politica generale del Paese». I vescovi hanno citato le testimonianze di prigionieri sfuggiti alle milizie islamiste delle Forze Democratiche Alleate, i quali hanno confermato «di essere stati costretti a “convertirsi” all'Islam».
Il 30 aprile 2021, il Presidente Félix Tshisekedi ha dichiarato lo stato di assedio nelle province del Nord Kivu e dell'Ituri. Qualche ora dopo la dichiarazione, militanti armati hanno ucciso 19 persone in attacchi a due villaggi delle province orientali.
Il 1° maggio, il Presidente della Comunità Islamica del Congo (COMICO), lo sceicco Ali Amini, è stato assassinato da un gruppo armato non identificato mentre celebrava il culto nella moschea principale di Beni. Il religioso era noto per le sue critiche alla militanza islamica. Sebbene nessun gruppo abbia rivendicato la responsabilità dell’omicidio, i sospetti si sono concentrati sulle Forze Democratiche Alleate (ADF) . L'uccisione dello sceicco durante il mese di Ramadan ha sconvolto la città di Beni. Alcune settimane dopo, al termine delle preghiere serali, un altro leader musulmano è stato ucciso. Lo sceicco Djamali Moussa, un rappresentante della società civile di Mavivi, è stato assassinato da un commando non identificato a Mavivi, mentre tornava a casa dalla moschea. Entrambi gli imam, Moussa e Amini, erano noti «per diffondere regolarmente informazioni circa i movimenti dei combattenti delle Forze Democratiche Alleate (ADF) nella regione».
Il 6 maggio, in un'intervista con Aiuto alla Chiesa che Soffre, monsignor Paluku Sikuli Melchisédech, vescovo della diocesi di Butembo-Beni, ha denunciato l’inefficace risposta del governo e delle forze dell'ONU al terrorismo in corso nella parte orientale del Paese, affermando che «i terroristi scacciano le popolazioni locali dalle loro abitazioni, mentre i criminali trafficano le risorse minerarie del Congo, completamente indisturbati». Il presule ha osservato che «vi è un più ampio piano per islamizzare o espellere le popolazioni locali». «Tutti coloro che sono stati rapiti da questi gruppi terroristici e che ne sono usciti vivi riferiscono la stessa cosa – ha aggiunto per spiegare - È stata data loro la possibilità di scegliere tra la morte e la conversione all'Islam. Sono stati perfino dati loro nomi musulmani al fine di consolidare la loro identità islamica». Il vescovo ha inoltre richiamato l'attenzione sugli interessi finanziari nella regione e sul ruolo del Ruanda, affermando che «è evidente che l'islamizzazione non è la loro unica motivazione! Questa regione abbonda di risorse naturali, che vengono sfruttate in modo completamente illegale. Come spiegare altrimenti le raffinerie di coltan che operano in Ruanda, quando il Paese non possiede questa risorsa? Invece, questo raro minerale viene estratto qui nella nostra regione ed esportato in modo del tutto illegale dall'altra parte della frontiera. E non vedo a tal riguardo alcun segno di preoccupazione da parte del governo congolese».
Il 13 maggio 2021, giorno di fine del Ramadan, è stato caratterizzato da numerose violenze. I diversi gruppi musulmani si sono scontrati per questioni relative sia alla successione al potere della comunità musulmana che al diritto di celebrare le festività dell'Eid in uno stadio sportivo. La polizia nazionale congolese ha cercato di tenere sotto controllo la situazione con gas lacrimogeni e sparando colpi in aria per disperdere i rivoltosi. Secondo stime ufficiali, al termine della giornata il bilancio è stato di «una poliziotta in condizioni critiche e di altre 46 persone rimaste ferite», inclusa una donna di 81 anni. A seguito delle violenze, trenta persone sono state condannate a morte.
Il 16 maggio, 21 persone sono state uccise dalle Forze Democratiche Alleate in cinque villaggi del distretto di Babila Babombi. Altre 52 persone sono state prese in ostaggio.
Il 30 maggio, alcuni funzionari locali hanno incolpato il gruppo militante ADF per la morte di almeno 50 persone in due attacchi notturni nella travagliata regione orientale del Paese.
Domenica 27 giugno, una bomba è esplosa vicino a una chiesa cattolica nella città di Beni, nel Nord Kivu, causando feriti e panico tra la popolazione.
Il 12 luglio, i corpi di diciotto civili, tra cui tre donne e due bambini, sono stati scoperti dai membri della Croce Rossa in diversi villaggi del distretto di Walese Vonkutu, nel territorio di Irumu. La maggior parte delle vittime è stata decapitata. Le vittime sono state presumibilmente uccise dai ribelli delle Forze Democratiche Alleate, attive nella regione.
Secondo stime del 2021, nella stessa regione sarebbero state sequestrate almeno 7.500 persone. Una religiosa cattolica, Suor Francine, è stata rapita a Goma l'8 luglio e rilasciata una settimana dopo. La Conferenza episcopale congolese, già ad aprile, aveva diffuso una dichiarazione in cui esortava i leader governativi a contrastare questo fenomeno.
Molte chiese sono diventate bersaglio di atti di vandalismo. Tra aprile e luglio 2021, quasi 10 chiese hanno subito attacchi e distruzioni, soprattutto nella regione di Kasai. Il Primo Ministro Jean-Michel Sama Lukonde ha dichiarato: «Il governo della Repubblica condanna fermamente gli atti di profanazione, violenza e vandalismo che sono stati osservati a Kinshasa e Mbuji Mayi contro la Chiesa cattolica. Il vandalismo e le violenze non hanno posto nel Congo di oggi».
Il 1° agosto, un gruppo di giovani ha compiuto atti vandalici nell’abitazione privata del cardinale Fridolin Ambongo e nella sede dell'arcidiocesi di Kinshasa .
Il 2 agosto, sospetti militanti dell'ADF hanno rapito e legato 14 persone che stavano tagliando la legna vicino al villaggio di Idohu, nella provincia dell'Ituri. I combattenti hanno giustiziato i civili, i cui corpi sono stati «messi in fila lungo la strada».
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Il 4 agosto, i vescovi cattolici del Congo hanno esortato a porre fine agli attacchi contro «parrocchie, grotte mariane, altari e santuari» nella diocesi di Mbujimayi. L’episcopato ha «condannato fermamente questi atti di violenza inammissibili, che rappresentano un grave attacco alla libertà di religione e di espressione, ma anche una violazione della democrazia».
Il 22 agosto, persone non identificate hanno saccheggiato la Chiesa cattolica di San Paolo a Kamende; una Bibbia è stata bruciata e numerosi oggetti sono stati rubati.
Secondo le Nazioni Unite, il 27 agosto sospetti combattenti dell'ADF hanno ucciso almeno 19 civili e ne hanno rapiti molti altri a Kalunguta, nel territorio di Beni.
Il 6 settembre, presunti guerriglieri delle Forze Democratiche Alleate «armati di machete, bastoni e mazze hanno assassinato almeno 30 abitanti di un villaggio nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo».
Il 21 ottobre, sospetti militanti dell'ADF hanno attaccato diversi centri nei pressi di Kalembo, uccidendo almeno 16 civili in tre diversi villaggi.
Il 23 ottobre, il pastore di una chiesa battista e un leader cattolico sono stati rapiti da persone non identificate nel quartiere Mwanzi di Kisharu.
Il 21 novembre, un gruppo armato ha attaccato un campo per sfollati a Drodro, uccidendo 44 persone e distruggendo oltre 1.200 rifugi.
Il 30 novembre, 26 persone sono state assassinate da un gruppo armato nel campo profughi di Ndjala, nella provincia di Ituri. Secondo il portavoce dell'UNHCR Boris Cheshirkov, «tra le vittime vi sono dieci donne e nove bambini, mentre 11 persone sono rimaste ferite. Gli aggressori hanno usato armi da fuoco, machete e coltelli».
Tra il 10 e l'11 novembre, le Forze Democratiche Alleate hanno effettuato un'incursione nel villaggio di Ndalya, uccidendo una persona, ferendone altre due e incendiando 24 case.
All'inizio del 2021, il Movimento del 23 marzo (M23), gruppo ribelle principalmente di etnia tutsi, frustrato dal «mancato rispetto da parte del governo degli accordi sulla riabilitazione degli ex ribelli», ha compiuto nuovi attacchi contro obiettivi militari e civili nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo. Il 4 novembre, il Presidente Felix Tshisekedi ha invitato i giovani a formare «gruppi di vigilanza» per contrastare l'attività dei ribelli dell'M23.
Il 25 dicembre 2021, giorno di Natale, una bomba è esplosa nella città di Beni uccidendo almeno sei persone.
Il 15 gennaio 2022 a Kokonyangi, una milizia chiamata Cooperativa per lo Sviluppo del Congo (CODECO) ha attaccato assieme alla Forza Patriottica e Integrazionista del Congo (FPIC) un gruppo del Rinnovamento Carismatico Cattolico. Almeno 11 persone sono state uccise.
Il 24 gennaio, tre operatori umanitari della ONG cristiana Tearfund sono stati rapiti a Malinde.
Il 2 febbraio, un gruppo armato non identificato ha ucciso padre Richard Masivi in una chiesa cattolica nel villaggio di Vusesa.
Nello stesso giorno, la milizia CODECO ha ucciso almeno 60 sfollati interni in un attacco al rifugio Plaine Savo a Djugu, nella provincia orientale di Ituri, usando machete e altre armi.
Il 31 maggio, lo Stato Islamico ha rivendicato la responsabilità di un attacco (che si ritiene sia stato condotto da membri dell'ADF), in cui sono stati uccisi quasi 20 cristiani. Secondo quanto riferito, i militanti hanno preso d'assalto il villaggio di Bulongo, nella provincia del Nord Kivu, dopo il tramonto, «saccheggiando le case, uccidendo gli abitanti che incrociavano il loro cammino e incendiando sei veicoli».
Il 22 giugno, oltre 10 cristiani sono stati uccisi vicino al villaggio di Makisabo, vicino Beni, quando gli estremisti islamici delle Forze Democratiche Alleate hanno teso un'imboscata a tre veicoli. Secondo quanto riportato, i militanti «hanno bloccato la strada, sparato a tutti i passeggeri e dato fuoco ai veicoli». Un vescovo locale ha dichiarato: «Sappiamo che la situazione bellica in Congo è complessa, ma non possiamo ignorare il fatto che i gruppi ribelli stiano colpendo deliberatamente i cristiani. Abbiamo le prove che gli assassini hanno stabilito legami con [lo] Stato Islamico (ISIS), e i sopravvissuti ci hanno confessato che è stato chiesto loro di recitare la shahada se volevano sopravvivere. Abbiamo pastori che sono stati uccisi per aver rifiutato di rinnegare Cristo e di lasciarsi islamizzare. Chiediamo preghiere e sostegno per prenderci cura di milioni di rifugiati, vedove e orfani».
Dal 2 al 5 luglio, Papa Francesco avrebbe dovuto visitare la Repubblica Democratica del Congo. Tuttavia, il 13 giugno, il Pontefice è stato costretto a rinviare il suo viaggio apostolico a causa di problemi al ginocchio. All’annuncio del rinvio del viaggio, i vescovi hanno così dichiarato in un messaggio ufficiale: «Nonostante i disagi causati dal rinvio della visita papale, chiediamo a tutti di rimanere fiduciosi, di rimanere pazienti e di perseverare nella preghiera».
Il 25 giugno, monsignor Donatien Nshole, Segretario generale della Conferenza episcopale Nazionale del Congo (CENCO), ha annunciato in una conferenza stampa che, «per dimostrare la grande considerazione che ha per il nostro Paese, il Santo Padre ha deciso di inviare Sua Eminenza il cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato della Città del Vaticano, a Kinshasa per pregare con noi domenica 3 luglio 2022». Inoltre, durante la conferenza, monsignor Nshole ha rassicurato che il viaggio del cardinale Pietro Parolin nella Repubblica Democratica non sostituirà la visita di Papa Francesco nel Paese, che «[è] stata solo rimandata e per la quale si attendono nuove date».
Il 2 luglio, il cardinale Pietro Parolin e i rappresentanti della CENCO si sono incontrati con il Primo Ministro congolese, Jean-Michel Sama Lukonde e altri funzionari statali, per firmare gli accordi che definiscono lo status giuridico della Chiesa in ambiti quali quelli sanitario e finanziario così come in aree quali la cura pastorale e l'impegno sociale. L'accordo, noto come Accordo-quadro, ha riconosciuto la natura unica della Chiesa, che fino a quel momento era riconosciuta dallo Stato come un'organizzazione senza scopo di lucro. Sebbene l'intesa sia stata approvata nel 2019 e sia entrata in vigore nel 2020, non è mai stata pienamente attuata.
Il 23 luglio, sospetti estremisti dell'ADF hanno ucciso il reverendo Joel Tibasima Bamaraki e due anziani appartenenti alla chiesa del religioso in un attacco avvenuto nel villaggio di Kabasungora, nella località di Bahema-Boga. Il 24 luglio, lo stesso gruppo è stato sospettato di aver ucciso almeno sette cristiani e di aver dato fuoco a due chiese nel villaggio di Kayera, nella località di Bahema-Mitego. Il leader della Chiesa locale, il reverendo Besisa Birahure, ha dichiarato: «La situazione è peggiorata, perché il gruppo ha preso di mira i leader della Chiesa. Siamo sopraffatti. Cosa possiamo fare? A causa di questo massacro cui siamo sottoposti, che è veramente inaudito, non sappiamo cosa fare... Quindi continuate a pregare per noi; qualsiasi difficoltà ci troviamo ad affrontare, che Dio ci sostenga affinché rimaniamo forti».
A seguito di un attacco del 25 luglio in cui sono state uccise almeno 15 persone (tre peacekeepers delle Nazioni Unite e 12 manifestanti) nelle basi ONU a Goma e in altre città del nord, le tensioni tra la comunità locale e i Caschi Blu hanno continuato a crescere. I manifestanti hanno accusato la MONUSCO di non aver saputo prevenire i disordini provocati dai gruppi armati nell'est del Paese. Il vescovo di Butembo-Beni, monsignor Melchisédech Sikuli Paluku, ha così commentato la situazione: «Il bicchiere è colmo, e non sorprenderebbe se un giorno vedessimo l'intera città ribellarsi, comprese le persone più impensabili».
Il 4 agosto, le Nazioni Unite hanno rivelato in un rapporto di avere le prove che le truppe ruandesi hanno assicurato sostegno militare e combattuto assieme al gruppo ribelle M23 nella parte orientale della Repubblica Democratica del Congo, fornendo al gruppo armi e supporto. «La rinascita dell'M23 ha infiammato le tensioni regionali e scatenato proteste violente contro la missione di pace delle Nazioni Unite in Congo, accusata dai civili di non averli protetti».
Il 9 agosto, il Segretario di Stato statunitense Antony Blinken è arrivato a Kinshasa come parte di un tour in tre nazioni africane. La visita è stata utilizzata per rafforzare le relazioni passate, attuali e future tra gli Stati Uniti e la Repubblica Democratica del Congo e per valutare come le due nazioni possano collaborare in modo più efficace per portare avanti cause quali la protezione ambientale e i diritti umani. Sono state discusse anche questioni relative alla libertà religiosa.
Il 19 ottobre, Suor Marie-Sylvie Kavuke Vakatsuraki, delle Piccole Sorelle della Presentazione di Nostra Signora al Tempio, è stata uccisa in un attacco rivendicato dalle Forze Democratiche Alleate. Padre Marcelo Oliveira, responsabile locale dei Missionari Comboniani, ha dichiarato: «I ribelli dell'ADF hanno attaccato il villaggio, e più precisamente l'ospedale. Dopo averlo saccheggiato, prendendo tutti i medicinali, hanno dato fuoco all'edificio. Una religiosa, che era il medico di turno quella notte, è stata bruciata viva, assieme ad un paziente».
Il 20 ottobre, l'M23 ha lanciato un'offensiva contro l'esercito congolese a Rutshuru, seminando il panico nel Nord Kivu. Le Nazioni Unite hanno calcolato che tra il 20 ottobre e il 1° novembre oltre 50.000 persone sono fuggite dalle loro case. Il 31 ottobre, il Segretario Generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha chiesto la cessazione immediata dei combattimenti e la ritirata dell'M23 dalle aree occupate. Il Presidente della Repubblica Democratica del Congo Tshisekedi ha accusato il Ruanda di sostenere la ribellione, affermando che il Kigali, in cerca di ricchezze minerarie nel Paese, ha tentato di «destabilizzare il Congo orientale per creare una zona senza legge al fine di soddisfare i suoi appetiti criminali». Nonostante le autorità ruandesi abbiano negato ogni accusa, il 31 dicembre, l'Unione Europea ha chiesto espressamente al Ruanda di «smettere di sostenere il gruppo ribelle M23».
Il 26 ottobre, a seguito del già citato attacco terroristico che ha causato la morte di alcuni pazienti e di una religiosa in un ospedale missionario cattolico, Papa Francesco ha affermato: «assistiamo inorriditi agli eventi che continuano a insanguinare la Repubblica Democratica del Congo». Durante l'udienza generale, il Pontefice ha altresì dichiarato: «Preghiamo per le vittime e i loro familiari, come pure per quella Comunità cristiana e gli abitanti di quella regione da troppo tempo stremati dalla violenza».
A novembre, a seguito di una riunione straordinaria della Conferenza episcopale cattolica, 42 arcivescovi, vescovi e amministratori apostolici congolesi hanno firmato una dichiarazione in cui si denuncia il rischio di una possibile spaccatura del Paese. Come prova, i prelati hanno evidenziato i seguenti elementi: le molteplici regioni in cui divampano le violenze; il risveglio di gruppi militanti come l'M23; le violenze intercomunitarie e le uccisioni per questioni legate alla terra nell'ovest del Paese, che contrappongono l'etnia Teke a quella non Teke; la vendita illegale di terre a stranieri nel Congo centrale, che ha portato allo sfollamento forzato di migliaia di persone. I leader della Chiesa hanno avvertito che la crescente insicurezza rischia di dividere il Paese. «La situazione è grave – hanno affermato - Il nostro Paese è in pericolo, se non stiamo attenti, ci sveglieremo una mattina con un Paese balcanizzato». L’episcopato ha inoltre sottolineato la responsabilità della comunità internazionale, incluse le aziende multinazionali che stringono alleanze con coloro che in questo modo realizzano una forma di «profitto militare». «La comunità internazionale, che nella sua doppiezza produce effetti positivi e negativi, ha una grave responsabilità per la sua indulgenza nei confronti delle multinazionali e dei Paesi che si appropriano delle nostre risorse naturali. Di che tipo di mantenimento della pace possiamo parlare quando il numero di morti non cessa di moltiplicarsi?», hanno scritto i prelati.
Il 1° dicembre, le forze armate della Repubblica Democratica del Congo hanno accusato il gruppo ribelle M23 «di aver ucciso 50 civili nella città orientale di Kishishe». La missione di pace delle Nazioni Unite ha dichiarato: «Queste accuse, se confermate, potrebbero costituire dei crimini ai sensi del diritto internazionale umanitario».
Il 4 dicembre, «decine di migliaia di cristiani sono scesi in piazza in tutta la Repubblica Democratica del Congo» a seguito di un appello della Conferenza episcopale cattolica per protestare contro la violenza dell'M23 nelle regioni orientali. I leader della Chiesa hanno anche accusato la comunità internazionale di «ipocrisia per il presunto ruolo del Ruanda nei combattimenti».
Prospettive per la libertà religiosa
La Repubblica Democratica del Congo, grande quattro volte la Francia, possiede un'enorme ricchezza mineraria, che include riserve di risorse quali oro, diamanti, cobalto e coltan. Nonostante ciò, ampi segmenti della popolazione vivono nell’indigenza. Sebbene in precedenza l'insicurezza si concentrasse nel nord del Paese, le violenze si sono diffuse in tutto lo Stato e oggi diverse regioni congolesi sono teatro di conflitti armati che coinvolgono una costellazione sempre più ampia di gruppi ribelli, tra cui milizie terroristiche islamiste. Il numero di gruppi armati è cresciuto dalle poche decine nel 2006 - anno in cui sono state dispiegate per la prima volta le forze ONU - ai circa 120 oggi. Inoltre, negli ultimi anni gli estremisti hanno preso di mira i luoghi di culto con sempre maggiore frequenza.
La situazione è complessa e coinvolge elementi politici, economici, etnici e religiosi, incluso il terrorismo che ha raggiunto un livello tale da essere considerato un crimine ai sensi del diritto umanitario internazionale. L'aspetto più controverso è l'accusa di complicità del Ruanda con il gruppo di ribelli M23, formulata dalle Nazioni Unite il 4 agosto 2022.
La Chiesa cattolica ha più volte levato la propria voce e chiesto un cambiamento sia a livello nazionale che internazionale. In un comunicato dell'aprile 2021, i vescovi hanno evidenziato gli obiettivi degli aggressori, notando come questi stiano «sfruttando le debolezze delle forze armate regolari per raggiungere i loro obiettivi politici e religiosi», che includono «l'occupazione delle terre, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali, l'auto-arricchimento e l'islamizzazione della regione senza alcun riguardo per la libertà religiosa».
Le prospettive per la libertà religiosa rimangono negative.