Quadro giuridico relativo alla libertà religiosa ed effettiva applicazione
L’Iran è una Repubblica Islamica basata su una Costituzione teocratica adottata in seguito alla rivoluzione islamica che rovesciò lo scià nel 1979. L’articolo 12 della Costituzione afferma che la scuola islamica dello sciismo Ja’fari è la religione ufficiale del Paese. L’articolo 13 riconosce i cristiani, gli ebrei e gli zoroastriani come minoranze religiose protette, con il diritto di praticare liberamente il culto e di costituire società religiose: «Gli iraniani zoroastriani, ebrei e cristiani sono le uniche minoranze religiose riconosciute, che, entro i limiti della legge, sono libere di compiere i loro riti e cerimonie religiose e di agire secondo il proprio canone in materia di affari personali e di educazione religiosa». Due seggi del Parlamento iraniano (Majlis) sono riservati ai cristiani armeni – la più grande minoranza cristiana del Paese (300.000 fedeli) – mentre cristiani assiri, ebrei e zoroastriani hanno diritto ad un seggio ciascuno.
Lo Stato è posto sotto l’autorità del clero sciita, che governa attraverso il Rahbar-e mo’azzam-e irān, la Guida Suprema dell’Iran, nominata a vita dall’Assemblea degli Esperti che si compone di 86 teologi eletti dal popolo per un mandato di otto anni. Il Rahbar presiede il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, un organo di 12 membri (sei nominati dal leader e sei dalla magistratura). Il Consiglio esercita il controllo sulle leggi e sugli organi di governo dello Stato, inclusa la presidenza, il cui titolare è eletto con voto diretto per un mandato di quattro anni, rinnovabile una sola volta.
In Iran, uno dei principali ostacoli alla piena libertà religiosa è il reato di apostasia. Il governo considera musulmano qualsiasi cittadino che non possa dimostrare che lui o la sua famiglia erano cristiani prima del 1979. La conversione dall’Islam ad un’altra religione non è esplicitamente vietata nella Costituzione o nel codice penale, ma è di fatto punita a causa delle ben salde tradizioni islamiche del Paese e del sistema giuridico, fondato sulla sharia (legge islamica). Per tutti i casi non menzionati esplicitamente nella Costituzione, i giudici hanno infatti la possibilità, ai sensi dell’articolo 167, di fare riferimento a «fonti islamiche autorevoli o fatawa [fatwa] autentiche». Nei casi di apostasia, le sentenze si basano quindi sulla sharia e sulle fatwa e possono comportare la pena di morte. I convertiti al Cristianesimo non possono registrarsi legalmente come cristiani e non hanno diritto agli stessi diritti dei membri riconosciuti delle comunità cristiane.
Il codice penale del Paese contiene disposizioni contro la blasfemia. L'articolo 513 afferma: «[C]hiunque insulti i valori sacri dell'Islam o uno qualsiasi dei Grandi Profeti o dei [dodici] Imam sciiti o la Santa Fatima, [se considerato come Saab ul-nabi ovvero come colui che ha commesso azioni che giustificano la pena dell'hadd per aver insultato il Profeta], sarà giustiziato; altrimenti, sarà condannato a una pena detentiva da uno a cinque anni». L'articolo 514 recita: «[C]hiunque, con qualsiasi mezzo, insulti l'Imam Khomeini, il fondatore della Repubblica Islamica, e/o la Guida Suprema sarà condannato a una pena detentiva da sei mesi a due anni».
Nel febbraio 2021, lo Stato iraniano ha emendato gli articoli 499 e 500 del codice penale, ampliando l'ambito di perseguibilità dei cristiani, in particolare dei convertiti dall'Islam al Cristianesimo.
Durante il periodo in esame, il governo iraniano ha continuato a imporre il codice di abbigliamento islamico. In pubblico, le donne di tutti i gruppi religiosi sono tenute a rispettare tale codice, che comprende la copertura dei capelli con un hijab.
Episodi rilevanti e sviluppi
Nel novembre 2020, i Relatori Speciali delle Nazioni Unite hanno stimato il numero di cristiani iraniani in 250.000, sebbene altre fonti indichino un totale compreso tra i 500.000 e gli 800.000. In ogni caso la comunità rappresenta una minuscola minoranza, la cui maggioranza è costituita da cristiani di etnia assira e armena, mentre il resto è composto da convertiti dall'Islam, in prevalenza seguaci di Chiese protestanti, incluse le chiese domestiche.
I membri di comunità riconosciute come gli zoroastriani, gli ebrei e i cristiani delle Chiese tradizionali possono praticare il loro culto entro rigidi limiti. Qualsiasi attività di evangelizzazione è illegale. I cristiani convertiti dall'Islam rimangono uno dei gruppi maggiormente presi di mira nel Paese, sono visti con profondo sospetto e percepiti come un tentativo da parte dei Paesi occidentali di minare l'Islam e il regime islamico dell'Iran. Le chiese domestiche iraniane sono sempre più diffuse «a causa della chiusura dei luoghi di culto cristiani, della mancanza di licenze statali per la costruzione di nuove chiese, o perché l'accesso alle chiese ufficiali è limitato ai soli cristiani armeni e assiri. Le abitazioni sede delle chiese domestiche vengono cambiate regolarmente per evitare che i fedeli vengano scoperti».
L'11 novembre 2020, è stata presentata al governo iraniano una lettera formale da parte di sei esperti in materia di diritti delle Nazioni Unite, tra cui Ahmed Shaheed, relatore speciale sulla libertà religiosa o di credo, e Javaid Rehman, relatore speciale sui diritti umani in Iran. La missiva segnalava la «persecuzione segnalata dei membri della minoranza cristiana in Iran, inclusi i convertiti dall'Islam, nonché la detenzione di decine di cristiani, la maggior parte dei quali è stata condannata per aver esercitato il diritto di osservare e praticare liberamente la propria religione».
Nel gennaio 2021, una risposta del governo iraniano alla lettera del novembre 2020 dei Relatori Speciali dell'ONU ha definito le chiese domestiche «gruppi nemici» con «finalità lesive della sicurezza». Le autorità di Teheran hanno dichiarato che «nessuno è perseguito per motivi religiosi» e che i membri della minoranza cristiana in Iran, inclusi i convertiti dall'Islam, che sono stati denunciati, in realtà « i membri della minoranza cristiana in Iran, inclusi i convertiti dall'Islam, secondo quanto riferito, stavano in realtà «collaborando con il Sionismo evangelico in modo da favorire sentimenti avversi, provocare contrasti con le istituzioni islamiche, e compiere atti sovversivi contro di esse attraverso la creazione di culti organizzati e lo svolgimento di riunioni illegali e segrete volte ad ingannare i cittadini e sfruttare le persone più suggestionabili, in particolare i bambini».
Un rapporto annuale del 2021 di Articolo 18, un'organizzazione no-profit con sede a Londra che difende la libertà religiosa in Iran, ha documentato «oltre 120 episodi di arresto, detenzione o incarcerazione di convertiti cristiani, che rappresentano la più grande comunità cristiana dell'Iran». Di rilievo nell'ambito del giro di vite sui cristiani di lingua persiana è stata la partecipazione del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche dell'Iran (IRGC), «responsabile di 12 dei 38 episodi documentati di arresti di cristiani o di irruzioni nelle loro case o chiese domestiche».
Il 19 febbraio 2021, il Presidente iraniano Hassan Rouhani ha firmato gli articoli 499 e 500, due controversi emendamenti al codice penale che rappresentano «un attacco in piena regola al diritto alla libertà religiosa e di credo». L'emendamento all'articolo 499 «prevede fino a cinque anni di reclusione per “chiunque insulti le etnie iraniane o le religioni divine o le scuole di pensiero islamiche riconosciute dalla Costituzione con l'intento di provocare violenze o tensioni nella società o con la consapevolezza che tali [conseguenze] passano derivare dai suoi gesti”». L'articolo 500 modificato «prevede fino a cinque anni di reclusione per “qualsiasi attività educativa o di proselitismo deviante” da parte di membri delle cosiddette “sette” che “contraddica o interferisca con la legge sacra dell'Islam” attraverso “metodi di controllo mentale e indottrinamento psicologico” o “mediante affermazioni false o menzogne in ambito religioso e islamico, come ad esempio la pretesa della divinità”».
A febbraio, 11 famiglie cristiane sono state convocate ed interrogate dalle autorità. In seguito è stato intimato loro di interrompere le riunioni della loro chiesa domestica. Sono stati inoltre diffidati dal rendersi reciprocamente visita nelle rispettive abitazioni, anche per incontri di carattere sociale.
Ad aprile, è stato riferito che le autorità iraniane stavano vietando ad alcuni baha'i di seppellire i propri familiari nel cimitero di Golestan Javid, vicino a Teheran, che la comunità utilizzava da decenni. Al contrario, il governo ha insistito affinché i fedeli baha’i venissero sepolti tra le tombe esistenti all'interno del cimitero, o nella vicina fossa comune di Khavaran per le vittime dei massacri avvenuti in carcere nel 1988. La comunità baha'i si è opposta con forza, in quanto considera la sepoltura nella fossa comune di Khavaran una profanazione del sito. In seguito, il governo ha revocato la propria decisione.
Ad aprile, quattro convertiti cristiani, Hojjat Lotfi Khalaf, Esmaeil Narimanpour, Alireza Varak-Shah e Mahammad Ali Torabi, sono stati arrestati nella città di Dezful. In agosto erano stati accusati di «propaganda contro la Repubblica Islamica» a causa della loro appartenenza a una chiesa domestica.
Il 22 aprile, due uomini, Yusef Mehrdad e Seyyed Sadrollah Fazeli Zare, sono stati condannati da un tribunale penale dell'Iran centrale per «insulto al Profeta Maometto» e «blasfemia», che comporta la pena di morte. La causa esatta delle accuse non è stata chiarita. La sentenza è stata confermata dalla Corte Suprema dell'Iran nell'agosto 2021. Secondo l’Iran Human Rights Monitor, «il regime iraniano utilizza apertamente la pena di morte come forma di punizione. In molti casi, agli appartenenti delle minoranze religiose ed etniche e ai dissidenti politici viene comminata la pena di morte in modo discriminatorio».
A giugno, il visto di Suor Giuseppina Berti, settantacinquenne, missionaria italiana delle Figlie della Carità di San Vincenzo de' Paoli, non è stato rinnovato. Suor Giuseppina aveva lavorato per 26 anni al servizio dei malati di lebbra a Tabriz.
Nello stesso mese, tre convertiti cristiani sono stati condannati alla pena massima di cinque anni di carcere con l'accusa di «propaganda contro il regime islamico». In agosto, un tribunale ha ridotto la pena di Amin Khaki, Milad Goudarzi e Alireza Nourmohammadi a tre anni.
Sempre a giugno, sebbene il loro appello per un nuovo processo sia stato respinto, i convertiti cristiani Homayoun Zhaveh e sua moglie Sara Ahmadi hanno comunque ottenuto una tregua di 30 giorni dal carcere. Nel novembre 2020, erano stati condannati rispettivamente a due e 11 anni di carcere per appartenenza a una chiesa domestica. La pena di Sara è stata ridotta a otto anni nel dicembre 2020.
Nello stesso mese, la libertà condizionata di Nasser Navard Gol-Tapeh è stata rifiutata senza alcuna spiegazione. Gol-Tapeh, un cristiano, era stato condannato a 10 anni di carcere a causa della sua partecipazione a una chiesa domestica, considerata una minaccia alla sicurezza nazionale.
Un rapporto pubblicato nel mese di giugno dalla Norwegian Landinfo, riguardante il perseguimento penale dei convertiti cristiani negli ultimi due o tre anni, ha riscontrato che: «Alcuni di coloro che hanno ricevuto le pene più severe (da 2 a 10 anni di carcere) sono stati condannati per aver guidato e organizzato delle chiese domestiche. Anche intrattenere relazioni con le comunità missionarie all'estero è rischioso, poiché la diffusione della fede cristiana è considerata opera di Stati nemici. Inoltre, diversi detenuti sono membri della rete della Chiesa dell'Iran, ripetutamente presa di mira dal governo».
A settembre, i cristiani iraniani Amin Khaki, Milad Goudarzi e Alireza Nourmohammadi si sono visti ridurre la pena detentiva a tre anni dalla 12esima sezione della Corte d'Appello del Tribunale Rivoluzionario di Karaj. A giugno, i tre membri della Chiesa dell'Iran erano stati condannati inizialmente a cinque anni di carcere per «propaganda contro il regime islamico» ed avevano subito anche un processo per «attività settarie».
A novembre, la Corte Suprema dell'Iran ha stabilito che nove convertiti cristiani coinvolti nelle chiese domestiche non avrebbero dovuto essere condannati con l'accusa di aver agito contro la sicurezza dello Stato, perseguibile ai sensi degli articoli 498 e 499 del codice penale. La più alta corte del Paese ha dichiarato che «la semplice predicazione del Cristianesimo e la promozione della “setta evangelica sionista”, che apparentemente implicano entrambe la diffusione del Cristianesimo attraverso le riunioni familiari [le chiese domestiche], non costituiscono una prova di riunione e di collusione nell'intento di turbare la sicurezza del Paese, sia internamente che esternamente». Nel febbraio 2022, un tribunale di Teheran ha assolto i nove convertiti cristiani. L'ottimismo iniziale, tuttavia, si è dissipato dopo che ai danni di due degli assolti sono state formulate nuove accuse di propaganda, e dopo che di uno di loro è stato nuovamente incarcerato sulla base di accuse per le quali era stato in precedenza assolto.
Nel dicembre 2021, sono stati confiscati 13 appezzamenti di terreno agricolo nel villaggio di Kata, nella provincia di Kohgiluyeh e Boyer-Ahmad. Questi episodi sono esempi di un numero crescente di confische di proprietà baha'i.
2022
Nel gennaio 2022, due convertiti cristiani, Habib Heydari e Sasan Khosravi, sono stati scarcerati. I due avevano scontato la pena detentiva di un anno per aver fatto parte di una chiesa domestica.
Nello stesso mese, lo studente baha'i Kasra Shoai non è stato autorizzato a studiare presso l'Università di Scienze Applicate di Zahedan in ragione della sua fede.
Sempre gennaio, alcune organizzazioni finanziate dallo Stato hanno tenuto un workshop per organizzare azioni propagandistiche contro la comunità baha'i.
A gennaio, il Pastore Matthias (Abdulreza Ali) Hagnejad è stato nuovamente arrestato due settimane dopo essere stato rilasciato dal carcere in attesa di una revisione della sua sentenza di cinque anni. Il religioso è stato scarcerato alla fine di dicembre 2021 dopo quasi tre anni di prigione con l'accusa di «mettere in pericolo la sicurezza dello Stato» e di «promuovere il Cristianesimo sionista». Altri otto membri della Chiesa dell'Iran sono stati arrestati nello stesso periodo.
Nello stesso mese, otto convertiti cristiani sono stati convocati dalle autorità, sono stati costretti a rinnegare la propria fede e obbligati a partecipare a sessioni di «rieducazione ideologica».
A febbraio, la convertita cristiana Sakineh Behjati è stata convocata dal Pubblico Ministero e dal Tribunale Rivoluzionario del Distretto 12 di Teheran che le ha comminato una pena detentiva di due anni. La Behjati era accusato di pubblicità contro lo Stato e di aver agito contro la sicurezza nazionale.
Nel febbraio 2022, due convertiti cristiani di Teheran hanno visto respinta la loro richiesta di un nuovo processo dopo che erano stati condannati a pene detentive per aver praticato la loro fede. Il 16 febbraio, Hadi Rahimi e Sakineh Behjati sono stati convocati per iniziare le loro condanne rispettivamente a quattro e due anni, dopo che la Sezione 9 della Corte Suprema aveva respinto il loro appello. I due sono stati condannati al carcere dalla Sezione 26 del Tribunale Rivoluzionario di Teheran nell'agosto 2020 con l'accusa ufficiale di «appartenenza a gruppi che cercano di turbare la sicurezza nazionale». È molto probabile che la coppia sia stata arrestata perché frequentava una chiesa domestica.
Nello stesso mese, dei convertiti cristiani della città occidentale di Dezful, che erano stati scagionati da ogni accusa nel novembre 2021, sono stati costretti a seguire corsi di «rieducazione» - ovvero 10 sessioni obbligatorie con chierici islamici – volte a cercare di riconvertirli all'Islam.
A marzo, il detenuto sunnita Hamzeh Darvish è stato condannato a 25 mesi per «dichiarazioni offensive contro la Guida Suprema dell'Iran» e «propaganda contro il regime». Questa sentenza si è aggiunta a una pena detentiva di 15 anni che Darvish aveva iniziato a scontare nello stesso anno.
Sempre a marzo, nove convertiti cristiani, precedentemente accusati di «agire contro la sicurezza nazionale» e «promuovere il Cristianesimo sionista», sono stati assolti da una corte d'appello. I giudici Seyed Ali Asghar Kamali e Akbar Johari hanno affermato che vi erano «prove insufficienti» per dimostrare che gli accusati avevano agito contro la sicurezza dello Stato e hanno sostenuto che ai cristiani viene insegnato a vivere in «obbedienza, sottomissione e sostegno delle autorità».
Ad aprile, le autorità, con la partecipazione di membri delle Guardie Rivoluzionarie, hanno distrutto una moschea sunnita a Zahedan.
Nello stesso mese, il pastore iraniano Yousef Nadarkhani, convertito dall'Islam al Cristianesimo, è stato temporaneamente rilasciato dal carcere di Evin a Teheran, dove aveva scontato una condanna di sei anni .
Ad aprile, alcune parti di un cimitero Bahai ad Hamedan sono state distrutte da persone non identificate. Secondo il Bahai Iran Press Watch, «negli ultimi anni, sono stati demoliti altri cimiteri baha'i in varie città, tra cui Qorveh, Sanandaj, Kerman, Shiraz e Urmia».
A maggio, un tribunale rivoluzionario di Teheran ha condannato il cristiano iraniano-armeno Anooshavan Avedian a 10 anni di carcere e a 10 anni di «privazione dei diritti sociali» per aver insegnato a dei cristiani nella sua abitazione. Altri tre cristiani sono stati condannati alla prigione, o all'esilio, dopo essere stati accusati di aver formato una "chiesa domestica". I convertiti cristiani Abbas Soori, 45 anni, e Maryam Mohammadi, 46 anni, sono stati privati dei diritti sociali per 10 anni e multati. In aggiunta, è stato loro vietato di lasciare l'Iran.
Nello stesso mese, sette cristiani sono stati condannati al carcere, tra cui il pastore iraniano-armeno Joseph Shahbazian, condannato a dieci anni di prigione con l'accusa di aver agito contro la sicurezza nazionale. Altri sei convertiti cristiani sono stati condannati a pene comprese tra uno e sei anni di carcere per aver guidato o fatto parte di chiese domestiche.
A giugno, il Tribunale Rivoluzionario di Shiraz ha condannato 26 baha'i ad un totale di 85 anni di detenzione con l'accusa di «assembramento e collusione al fine di turbare la sicurezza nazionale interna ed esterna». Durante il periodo in esame, vi sono state numerose segnalazioni di bahaisti arrestati a causa della loro fede.
A luglio, tre convertiti cristiani che stavano già affrontando cinque anni di carcere per «propaganda ed educazione di credenze devianti contrarie alla sacra Shari'a» sono stati informati che sarebbero tornati in tribunale per affrontare un secondo processo con accuse identiche. Una corte d'appello aveva confermato la sentenza a giugno.
Ad agosto, la Commissione degli Stati Uniti sulla Libertà Religiosa Internazionale (USCIRF) ha affermato che il governo iraniano stava attivamente incitando «l'opinione pubblica ad essere sprezzante» contro il Cristianesimo e le altre fedi, utilizzando i media iraniani per diffondere la propaganda religiosa. Il comitato consultivo federale bipartisan ha affermato che la propaganda dello Stato iraniano contro i convertiti cristiani è spesso mascherata da antisionismo, e i convertiti cristiani sono regolarmente indicati come membri di una rete «sionista» .
Ad agosto, alcuni agenti della sicurezza e dell'intelligence hanno «demolito almeno otto case appartenenti a famiglie baha'i nella provincia di Mazandaran e confiscato 20 ettari dei loro terreni». Coloro che hanno cercato di contestare le operazioni sono stati arrestati.
Il 22 agosto alcuni esperti delle Nazioni Unite per le Procedure Speciali del Consiglio dei Diritti Umani hanno dichiarato le seguenti parole: «Siamo profondamente preoccupati per l'aumento degli arresti arbitrari di membri della comunità baha'i, per le loro sparizioni forzate e per la distruzione o la confisca delle loro proprietà. Questi elementi dimostrano un’evidente politica di persecuzione sistematica». Gli esperti ONU hanno indicato che «oltre 1.000 baha'i sono in attesa di essere incarcerati, dopo i loro arresti iniziali e le loro udienze» e che dal luglio 2022, «gli agenti di sicurezza hanno fatto irruzione nelle case di oltre 35 baha'i in varie città e hanno arrestato diverse persone in tutto il Paese». Secondo il rapporto delle Nazioni Unite, «non si è trattato di atti isolati, ma di parte di una politica più ampia volta a colpire qualsiasi credo o pratica religiosa dissenziente, compresi i convertiti cristiani, i dervisci Gonabadi e gli atei».
Il 16 settembre, sono scoppiate proteste a livello nazionale dopo la morte di una donna di 22 anni. Mahsa Amini è deceduta mentre si trovava sotto la custodia della polizia morale, dopo essere stata picchiata per il presunto mancato rispetto del codice di abbigliamento relativo all'hijab (velo). Lo slogan principale dei manifestanti è stato “Donne, Vita, Libertà”, una richiesta di uguaglianza e contro il fondamentalismo religioso. Si sono svolte anche delle contro-dimostrazioni con i partecipanti che hanno scandito slogan come «I trasgressori del Corano devono essere giustiziati».
In un primo momento a scendere in piazza sono state soprattutto le donne per protestare contro l'obbligo di indossare il velo, spesso bruciandolo pubblicamente. Successivamente, però, molti uomini si sono uniti alla protesta, che è passata dall'opposizione all'obbligo di indossare l’hijab a un movimento contro l'intera istituzione della Repubblica islamica.
Al momento della stesura di questo rapporto, le forze di sicurezza «hanno ucciso almeno 448 persone, tra cui 60 bambini e 29 donne, e hanno effettuato fino a 17.000 arresti». Secondo quanto riferisce il quotidiano The Guardian, la «maggior parte delle vittime» sembra provenire dal nord-ovest, dove le autorità stanno reprimendo le rinnovate violenze di una campagna separatista curda di lunga data, e dalla ripresa delle ostilità nella regione Baluch del sud-est, dove i gruppi armati sunniti si ribellano alla discriminazione da parte dello Stato sciita.
Il 24 novembre, in seguito alle richieste dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk, il Consiglio dei diritti umani ONU ha ordinato una missione d'inchiesta per indagare sulle proteste.
Il 2 dicembre, gli Stati Uniti hanno designato l'Iran come Paese che desta particolare preoccupazione ai sensi della Legge sulla Libertà Religiosa.
Il 4 dicembre, il pubblico ministero iraniano ha dichiarato che «la polizia morale è stata 'sospesa', il che suggerisce che la politica delle autorità - adottata fin dall'inizio delle proteste - di chiudere un occhio sulle donne che non indossano l'hijab è stata resa permanente». Il 25 novembre, secondo un rapporto interno «compilato dal regime e reso pubblico da hacker che si fanno chiamare Black Reward, il 51 percento degli iraniani vuole che l'hijab sia una questione di scelta personale e il 56 percento si aspetta che le proteste continuino».
Prospettive per la libertà religiosa
Nel periodo in esame, le comunità religiose di minoranza, che includono i cristiani (in particolare i convertiti cristiani), i baha'i, i musulmani sunniti e i non credenti, hanno subito discriminazioni e persecuzioni. Esempi di queste violazioni hanno incluso danni alle loro proprietà, lesioni fisiche e persino uccisioni.
Il quadro giuridico è peggiorato nel febbraio 2021, quando il Presidente Hassan Rouhani ha approvato gli emendamenti agli articoli 499 e 500 del codice penale, introducendo pene detentive per i colpevoli di «insulto all'Islam» e «attività devianti» che «contraddicono o interferiscono con la legge sacra dell'Islam».
L'Iran si trova nuovamente ad un bivio. A più di quarant'anni dalla rivoluzione, il sentimento di condanna suscitato dalla morte di Mahsa Amini si è trasformato in proteste in tutto il Paese che chiedono l'abolizione della Repubblica islamica. Resta da vedere se le proteste porteranno a passi riformisti o a una maggiore oppressione. Di conseguenza, le prospettive per la libertà religiosa sono negative e la situazione è destinata a peggiorare.