Il Pakistan è stato fondato al momento della divisione dell’India britannica nel 1947. Solo più tardi si affermò il carattere musulmano più devoto del Paese, che iniziò ad assumere un orientamento nettamente islamico sotto la dittatura del generale Zia ul-Haq, al potere dal 1977 al 1988. Di conseguenza, la legge islamica (sharia) ha assunto un ruolo maggiormente rilevante all’interno del sistema giuridico pachistano.
La popolazione è quasi interamente musulmana, composta principalmente da sunniti (tra l’85 e il 90 per cento degli abitanti). Gli sciiti rappresentano circa il 10-15 per cento. Le minoranze religiose, prevalentemente cristiane, indù e ahmadi, più alcuni baha’í, sikh, parsi e una comunità ebraica in calo, costituiscono invece soltanto il 3,6 per cento. I principali gruppi etnici sono: punjabi (44,7 per cento), pashtun o pathan (15,4 per cento), sindhi (14,1 per cento), saraiki (8,4 per cento), muhajir (7,6 per cento), baloki (3,6 per cento) e altri (6,3 per cento) .
Il Pakistan è firmatario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 e ha ratificato il Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) nel 2010. È pertanto tenuto, ai sensi dell’articolo 18, a garantire la libertà di pensiero, di coscienza e di religione al suo popolo.
Sebbene l’articolo 2 della Costituzione pachistana del 1973 (emendata più volte, di cui l’ultima nel 2015) affermi che «l’Islam è la religione di Stato del Pakistan», lo stesso documento garantisce formalmente anche i diritti delle minoranze religiose. Infatti, nel Preambolo della Carta, si afferma che «saranno adottate misure adeguate affinché le minoranze possano professare e praticare liberamente le proprie religioni e sviluppare le proprie culture». L’articolo 20 (commi A e B) riconosce che «ogni cittadino ha il diritto di professare, praticare e diffondere la propria religione» e che ogni confessione religiosa ha «il diritto di istituire, mantenere e gestire le proprie istituzioni religiose».
L’articolo 21 afferma che «nessuna persona sarà costretta a pagare una tassa speciale il cui ricavato sia speso per la diffusione o il mantenimento di una religione diversa dalla propria». L’articolo 22 (1 e 3) contiene alcune «Tutele relative alle istituzioni educative per quanto concerne la religione», in cui si stabilisce chiaramente che «nessuna persona che frequenti un istituto educativo sarà obbligata a ricevere un’istruzione religiosa», e che «a nessuna comunità o denominazione religiosa sarà impedito di impartire un’istruzione religiosa agli alunni di quella comunità».
In realtà, però, questo articolo non è pienamente applicato, poiché molti studenti delle scuole pubbliche sono obbligati a frequentare le lezioni di Corano o a seguire corsi islamici, pena la perdita di importanti crediti formativi necessari al completamento dell’anno scolastico. Inoltre, nelle scuole statali, materie come storia, letteratura e matematica sono fortemente permeate dai precetti islamici. Recentemente, il governo provinciale del Punjab ha reso obbligatorio l’insegnamento del Sacro Corano anche nei college e nelle università.
Nell’articolo 260 (paragrafo 3, b) della Costituzione si opera una distinzione tra musulmani e non musulmani, che alimenta i pregiudizi a sfondo religioso e favorisce atteggiamenti discriminatori nei confronti, ad esempio, della comunità ahmadi che viene descritta come non musulmana. L’articolo 41 (comma B) è inequivocabilmente discriminatorio poiché afferma che «una persona non sarà qualificata per essere eletta Presidente se non è un musulmano». L’articolo 91 (paragrafo 3) stabilisce inoltre che anche il primo ministro debba essere un musulmano. Ai sensi dell’articolo 203 comma D, la Corte Federale Shariatica (islamica) ha facoltà di invalidare qualsiasi legge contraria all’Islam e di suggerire emendamenti alla stessa.
Il sistema elettorale pachistano è altrettanto discriminatorio, un aspetto emerso nuovamente durante le elezioni parlamentari tenutesi nel luglio 2018. Il Pakistan ha un presidente eletto da un collegio elettorale composto da membri dell’Assemblea Nazionale e delle Assemblee Provinciali. Le consultazioni presidenziali non si tengono pertanto in tutto il Paese.
Il Parlamento bicamerale del Pakistan comprende un’Assemblea Nazionale di 342 membri e un Senato di 104 membri. Nella Camera Bassa, 272 seggi sono assegnati secondo un sistema uninominale secco, mentre gli altri 70 seggi sono riservati: 60 alle donne (elette tramite rappresentazione proporzionale) e 10 alle minoranze non islamiche (elette in un unico collegio elettorale in tutto il Paese). I senatori sono eletti dalle quattro assemblee provinciali del Paese, un riflesso della natura federale dello Stato pachistano, ma anche in questo caso donne e minoranze hanno dei seggi riservati.
Sebbene questo garantisca una certa rappresentanza a tali gruppi, le candidate donne e i candidati appartenenti alle minoranze sono praticamente esclusi dalla corsa per gli altri (oltre 300) seggi. Questa situazione ha portato molti politici non musulmani ad allinearsi con partiti politici a guida islamica, con una conseguente minore efficacia in termini di promozione di politiche volte a migliorare la condizione delle minoranze. I candidati eletti ai seggi riservati sono altrettanto vincolati alle decisioni del loro partito su qualsiasi questione, anche se questo significa dover ignorare le preoccupazioni e gli interessi della propria comunità.
Lo status delle minoranze religiose è ulteriormente influenzato dalle cosiddette “leggi sulla blasfemia” del Pakistan, introdotte dal generale Zia-ul-Haq tra il 1982 e il 1986. In realtà, non si tratta di leggi, ma di emendamenti al Codice Penale pachistano, e nello specifico degli articoli 295B, 295C, 298A, 298B e 298C, che limitano fortemente la libertà di religione e di espressione. I reati punibili includono la «profanazione» del Corano e le offese al Profeta Maometto, che comportano rispettivamente come pena massima l’ergastolo e la condanna a morte.
Poiché il concetto di “blasfemia” è piuttosto ampio, la norma viene facilmente usata in modo improprio per sanzionare vari tipi di condotta, inclusa l’irriverenza verso persone, oggetti di culto, costumi e credenze. Mentre l’articolo 295A protegge tutte le religioni da «atti deliberati e dolosi intesi ad oltraggiare i sentimenti religiosi», i successivi commi dell’articolo e gli articoli 298B e 298C prendono di mira esclusivamente comportamenti ritenuti antislamici.
Storicamente, il sistema giuridico pachistano è una combinazione tra Common Law inglese e sharia, ma le prassi giuridiche sono islamocentriche, soprattutto da quando il Codice Penale è stato emendato negli anni Ottanta. Non sorprende, quindi, che tra il 1947 (quando fu fondato il Pakistan) e gli anni Ottanta (quando furono introdotti gli emendamenti) siano stati registrati solo sei casi di blasfemia, rispetto ai 1.581 segnalati tra il 1987 e il 2020.
Sebbene nel periodo in esame siano state rilasciate alcune persone accusate di blasfemia, tra cui l’ormai nota Asia Bibi, il numero dei casi e delle condanne a morte per tale reato non è diminuito.
Le accuse di blasfemia vengono mosse sia contro i musulmani che contro i membri delle minoranze religiose. Tuttavia, quando il presunto colpevole è un non musulmano, le accuse sfociano spesso in linciaggi, attacchi di folle ai danni di interi quartieri e uccisioni extragiudiziali. Inoltre, il numero di appartenenti alle minoranze che sono stati accusati di blasfemia è altamente sproporzionato rispetto alla loro percentuale sulla popolazione. Delle 1.581 persone accusate di blasfemia tra il 1987 e il 2020, 786 erano musulmani, 514 ahmadi, 235 cristiani, 32 indù e 44 sconosciuti. Ciò significa che il 49,7 per cento degli accusati è composto da islamici (che rappresentano il 96,4 per cento della popolazione), mentre il 49,4 per cento da appartenenti a minoranze (che costituiscono appena il 3,2 per cento della popolazione). Di questi, il 32,5 per cento erano ahmadi, il 14,9 per cento cristiani e il 2 per cento indù.
Particolarmente preoccupanti sono anche gli articoli 298B e 298C del Codice Penale pachistano, promulgati anch’essi sotto Zia-ul-Haq tramite l’Ordinanza XX del 1984, che ha reso un reato penale per gli ahmadi definirsi musulmani o chiamare la propria fede “Islam”.
Secondo Omar Waraich, responsabile del Dipartimento dell’Asia del Sud di Amnesty International, «vi sono poche comunità in Pakistan che hanno sofferto tanto quanto gli ahmadi». Alcune fonti riportano che tra il 1984 e il 2019, 262 ahmadi sono stati uccisi a causa della loro fede, 388 hanno subìto violenze e 29 moschee ahmadi sono state distrutte. Per legge gli ahmadi non possono avere moschee proprie, né chiamare alla preghiera, e per poter votare devono essere necessariamente classificati come non musulmani o aderire a una delle correnti principali dell’Islam.
La persecuzione degli ahmadi risale alla fondazione del movimento alla fine del XIX secolo. Sebbene gli ahmadi accettino Maometto come profeta, sono considerati eretici dai musulmani tradizionali perché credono che il loro fondatore, Mirza Ghulam Ahmad, sia il Mahdi, una figura messianica dell’Islam. Questi credeva di essere la reincarnazione di Maometto, Gesù e del dio indù Krishna.
Nel luglio 2020, l’Assemblea Provinciale del Punjab ha approvato un disegno di legge “sulla protezione della fondazione dell’Islam” (Tahaffuz-e-Bunyad-e-Islam), che ha destato non poca preoccupazione. La nuova normativa impone essenzialmente una definizione sunnita dell’Islam, proibisce qualsiasi materiale stampato ritenuto offensivo verso Maometto e altre figure religiose sacre e richiede che quando si parla del profeta stesso si faccia precedere il suo nome dall’appellativo «Ultimo profeta di Dio» (Khatam-an-Nabiyyin), seguito dall’invocazione in arabo «La pace sia su di Lui» (sallallahu alaihi wasallam).
L’educazione è un altro ambito in cui si è registrato un aumento delle accuse di blasfemia e delle violenze contro le minoranze. Nel proprio studio, durato sette anni e intitolato Educazione e Libertà Religiosa: una scheda informativa, la Commissione Nazionale Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Cattolica del Pakistan ha rilevato come i programmi scolastici e universitari promuovano la discriminazione contro i non musulmani. Secondo il Rapporto, «imprecisioni fattuali, revisionismo storico e omissioni facilmente riconoscibili insegnano una versione della storia decisamente monolitica, rafforzano gli stereotipi negativi e creano una narrativa ostile nei confronti delle minoranze religiose».
I programmi scolastici e i libri di testo giocano un ruolo essenziale nel promuovere una cultura di intolleranza verso le minoranze e vi è molta preoccupazione per il cosiddetto Programma Scolastico Nazionale Unico (SNC), la cui attuazione è prevista per il 2021. La Commissione per i Diritti Umani del Pakistan ha espresso il timore che il programma possa «violare la garanzia costituzionale che nessun membro di una minoranza religiosa debba ricevere un’educazione religiosa non attinente alla propria religione».
Nel 2020 il governo ha creato una Commissione Nazionale sulle Minoranze (NCM). Il provvedimento è stato sollecitato da un’ordinanza della Corte Suprema del Pakistan che nel giugno 2014 aveva chiesto di istituire un’agenzia per la tutela delle minoranze, in seguito al tragico attacco contro la chiesa di Ognissanti di Peshawar avvenuto nel settembre 2013. Nel maggio 2020, il Ministero degli Affari Religiosi e dell’Armonia Interreligiosa ha ratificato la ricostituzione della Commissione Nazionale sulle Minoranze, che ha il mandato di assicurare che i luoghi di culto delle comunità non musulmane siano preservati e mantenuti in condizioni funzionali. Tuttavia, lo status della Commissione è incerto, poiché si tratta semplicemente di un organismo istituito ad hoc dal gabinetto federale e non di un organismo stabilito da un’apposita legge, pertanto i suoi poteri sono limitati. Per di più, gli ahmadi non sono rappresentati in questo organismo perché, per citare il ministro dell’informazione Shibli Faraz, non «rientrano nella definizione di minoranza». Infine, in seguito all’adozione del 18° emendamento alla Costituzione del 2010, le minoranze sono diventate una questione provinciale, mentre la Commissione federale manca del potere giuridico necessario a far rispettare le proprie risoluzioni.
I matrimoni sono un’altra rilevante questione giuridica che interessa le minoranze religiose. Un passo positivo in tale ambito è rappresentato dalla decisione del 2019 della Corte Suprema del Pakistan, la quale ha stabilito che i cristiani possono registrare le proprie unioni con un certificato di matrimonio ufficiale.
Tuttavia, ben più rilevanti sono gli aspetti negativi legati ai matrimoni. Nonostante la legge pachistana stabilisca che l’età minima per unirsi in matrimonio è 18 anni, tale limite è costantemente ignorato dai tribunali, che preferiscono considerare la prassi matrimoniale islamica, secondo la quale le adolescenti possono sposarsi non appena hanno avuto il primo ciclo mestruale.
A questo genere di sentenze è strettamente legato il fenomeno, in costante aumento, delle conversioni e dei matrimoni forzati di ragazze o bambine cristiane e indù. Per arginare la problematica, l’assemblea provinciale del Sindh, unica provincia a dotarsi di una simile norma, ha approvato nel 2013 il Sindh Child Marriage Restraint Act, che vieta i matrimoni con minori. Tuttavia, la stessa provincia continua ad avere il più alto numero di casi di matrimoni forzati. Durante il periodo in esame, alcune ragazze rapite sono state restituite alle loro famiglie, ma ciononostante la legge non ha la facoltà di annullare i matrimoni islamici, pur in presenza di prove evidenti della minore età della giovane al momento delle nozze.
Sarebbe necessaria al riguardo una legge nazionale. Nel 2020, il Senato pachistano ha iniziato a valutare il fenomeno attraverso il proprio comitato permanente per la protezione delle minoranze dalle conversioni forzate, che dal luglio dello stesso anno ha incominciato ad esaminare la questione. La “Legge sulla protezione dei diritti delle minoranze” è stata presentata in Senato ad agosto 2020, ma il Comitato permanente per gli Affari Religiosi e l’Armonia Interreligiosa l’ha respinta un mese dopo con la motivazione che «alle minoranze in Pakistan sono già stati concessi diversi diritti». Il disegno di legge è stato più volte presentato in Senato e all’Assemblea Nazionale, ma alla data del marzo 2021 non è stato ancora approvato. Qualora lo fosse, la norma vieterebbe le conversioni forzate e i contenuti ostili alle minoranze nei libri di testo, punendo con sette anni di reclusione e una multa chi è responsabile di conversioni forzate e sanzionando con 14 anni di reclusione il reato di matrimonio forzato ai danni di un membro delle minoranze religiose.
Durante il periodo in esame si sono registrate decine di incidenti che hanno interessato la libertà di religione e al tempo stesso sviluppi positivi e negativi.
Da quando il primo ministro Imran Khan e il suo partito Tehreek-e-Insaf sono saliti al potere nell’agosto 2018, sono stati compiuti alcuni passi positivi in favore delle minoranze.
Il governo ha affrontato gli estremisti guidati da Tehreek-i-Labbaik Pakistan (TLP), i quali nell’ottobre e nel novembre 2018 sono scesi in piazza per chiedere l’annullamento dell’assoluzione di Asia Bibi. Le autorità non hanno ceduto alle richieste dei manifestanti e hanno arrestato i principali esponenti del TLP.
Per quanto riguarda indù e sikh, il 12 novembre 2019, ovvero pochi giorni prima del 550° anniversario della nascita del fondatore del sikhismo, Guru Nanak, il governo ha aperto il corridoio Kartarpur permettendo ai pellegrini sikh provenienti dall’India di visitare il Gurdwara Darbar Sahib, uno dei santuari più sacri del sikhismo, situato nella provincia del Punjab in Pakistan. Il corridoio ha ridotto i tempi di viaggio dei pellegrini sikh, così come i relativi pedaggi e le lunghe pratiche burocratiche da espletare alla frontiera.
Nonostante questi progressi, la vita per i membri delle minoranze del Pakistan rimane difficile. Lo stesso vale anche per la comunità islamica sciita del Pakistan, che continua ad essere bersaglio di attacchi violenti. In particolare, la comunità sciita hazara, che vive principalmente a Quetta, nel Balochistan, è stata spesso attaccata da militanti islamici. Un Rapporto pubblicato dalla Commissione Nazionale per i Diritti Umani ha dichiarato che negli ultimi cinque anni, a Quetta, 509 hazara sono stati uccisi e 627 feriti in vari atti di terrorismo.
Inoltre, non sorprende che la persecuzione contro gli ahmadi sia continuata negli ultimi due anni, considerato il fatto che durante la campagna elettorale del 2018 lo stesso primo ministro Khan ha sostenuto pubblicamente leggi e gruppi anti-ahmadi. Una volta eletto, Khan ha nominato un ahmadi, Atif Mian, come membro del Consiglio Consultivo Economico (EAC), ma in seguito alle proteste di membri e sostenitori del suo stesso partito, Khan ha revocato la propria decisione.
Anche il terrorismo contro le minoranze è continuato senza sosta. Il Paese si è classificato quinto nell’Indice Globale del Terrorismo 2019 ed è una delle dieci nazioni che nel 2018 hanno registrato complessivamente l’87 per cento delle morti legate al terrorismo a livello internazionale.
La comunità sciita hazara è stata spesso oggetto di attacchi. Un attentato suicida avvenuto il 12 aprile 2019 in un mercato alimentare nella zona di Hazar Gunji a Quetta ha provocato la morte di 21 persone e il ferimento grave di altre 50. Il mercato è frequentato da commercianti hazara. L’attacco è stato rivendicato dal gruppo dello Stato Islamico-Provincia di Khorasan.
All’inizio del settembre 2020, gruppi estremisti sunniti hanno organizzato almeno quattro manifestazioni anti-sciite, di grandezza senza precedenti, durante le quali gli sciiti sono stati descritti come «eretici» e «infedeli», il tutto nell’apparente indifferenza delle autorità pachistane.
Lo stesso mese, almeno cinque sciiti sono stati uccisi in diverse parti del Paese nell’ambito di violenze settarie, mentre sono stati archiviati più di 30 casi di blasfemia contro gli sciiti. Almeno una congregazione sciita è stata attaccata e in diversi video apparsi sui social media si mostrano gli sciiti costretti ad accettare la visione storica sunnita relativa ai califfi.
L’8 maggio 2019, durante il mese sacro del Ramadan, una bomba è esplosa vicino al Data Darbar, un importante santuario sufi di Lahore affollato da centinaia di pellegrini, uccidendo 13 persone. L’Hizbul Ahrar, un gruppo scissionista di Jamaat-ul-Ahrar e Tehrik-i-Taliban Pakistan, ha rivendicato la responsabilità dell’attacco.
Anche diversi luoghi di culto ahmadi sono stati colpiti. Il 6 febbraio 2020 una folla ha preso d’assalto una moschea ahmadi di oltre 100 anni a Kasur, nel Punjab. Le autorità locali hanno ceduto alle pressioni degli estremisti e hanno consegnato loro la moschea. Nell’ottobre 2019, un altro luogo di culto ahmadi è stato «raso al suolo» nel distretto di Bahawalpur. Nel luglio 2002, un cimitero ahmadi è stato profanato nel Punjab.
Tra le note positive, l’assoluzione di alcuni condannati per blasfemia. Asia Bibi, una cristiana condannata a morte per blasfemia nel 2010, è stata finalmente assolta dalla Corte Suprema del Pakistan il 31 ottobre 2018. Tuttavia, a seguito di proteste su larga scala in tutto il Paese, la donna ha dovuto attendere fino al gennaio 2019 che la sua assoluzione fosse nuovamente confermata. Successivamente si è trasferita con la sua famiglia in Canada per motivi di sicurezza. Anche Sawan Masih, un altro cristiano condannato a morte per blasfemia, è stato assolto in secondo grado il 5 ottobre 2020.
Questi casi non possono però cancellare i lunghi anni trascorsi in prigione dai due accusati. Inoltre, rappresentano purtroppo dei successi isolati. Infatti, i casi di blasfemia continuano ad aumentare. Per esempio, nel solo agosto 2020, ne sono stati registrati 42.
Il professor Khalid Hameed, direttore del dipartimento di inglese nel College governativo Sadiq Egerton di Bahawalpur, è stato accoltellato a morte da uno dei suoi studenti, il 20 marzo 2019, per aver presumibilmente fatto commenti sprezzanti contro l’Islam.
Nel settembre 2019, il preside della Sindh Public School della città di Ghotki (provincia del Sindh) è stato arrestato per presunti commenti blasfemi sul Profeta Maometto. L’arresto è stato seguìto da proteste pubbliche e da uno sciopero. Come risultato, la scuola del preside è stata danneggiata e un tempio indù è stato vandalizzato.
Nel dicembre 2019, Junaid Hafeez, un docente universitario di 33 anni, è stato condannato a morte per blasfemia. Era stato arrestato nel marzo 2013 con l’accusa di aver pubblicato commenti sprezzanti sul Profeta Maometto sui social media.
Un altro incidente riguarda l’uccisione di Tahir Ahmad Naseem, un cittadino statunitense, avvenuta il 29 luglio 2020 in un tribunale di Peshawar. Naseem era stato arrestato per blasfemia nell’aprile 2018, dopo aver affermato di essere un profeta. In seguito all’omicidio, è diventato virale sui social media un video che mostrava il presunto assassino dichiarare alle persone presenti in aula che il Profeta Maometto gli aveva ordinato di uccidere il blasfemo.
Nell’agosto 2020 un leader musulmano di Abidabad, Nowshera Virkan, ha accusato il cristiano Sohail Masih di aver insultato l’Islam. La polizia ha preso in custodia Masih il 5 agosto dopo che questi era stato aggredito da una folla infuriata. La sua famiglia è stata costretta a fuggire.
Nel periodo in esame, sono continuate anche le violenze e le discriminazioni ai danni della comunità indù del Pakistan. Il 30 giugno 2020, la Jamia Ashrafia, una delle principali scuole islamiche pachistane, ha emesso una fatwa contro la costruzione del primo tempio indù di Islamabad, poiché «permettere alle minoranze di costruire nuovi luoghi di culto non è conforme all’Islam in quanto equivale a contribuire ad una cattiva azione». Nel frattempo, l’Alta Corte di Islamabad ha inviato una comunicazione all’Autorità per lo Sviluppo della Capitale, ribadendo che il tempio rientrava nel piano regolatore della città.
Nel periodo in esame, il fenomeno dei rapimenti delle ragazze cristiane e indù è notevolmente peggiorato. Nel novembre 2020, Asad Iqbal Butt, presidente della Commissione per i Diritti Umani del Pakistan, ha evidenziato come il numero di vittime fosse tristemente raddoppiato a partire dal 2018, raggiungendo la quota di 2.000 ragazze rapite ogni anno. I sequestratori, spesso con la complicità di poliziotti corrotti e funzionari giudiziari, affermano che le ragazze sono maggiorenni e si sono sposate di loro spontanea volontà. Troppo spesso gli appelli dei genitori, pur in possesso di documenti d’identità che dimostrano la vera età delle figlie, non sono riusciti a fermare conversioni e matrimoni forzati.
All’inizio di settembre 2020, una ragazza indù di 14 anni, Parsha Kumari, è stata rapita a Mori nel distretto di Khairpur (Provincia del Sindh), ed è stata costretta a convertirsi con la forza e a sposare il suo rapitore, Abdul Saboor Shah. Un caso simile è stato quello di Jagjit Kau, rapita il 27 agosto 2018 sotto la minaccia delle armi nella città di Nankana Sahib. Dopo mesi di illazioni, tra cui affermazioni infondate sul fatto che la giovane fosse stata restituita alla famiglia, Jagjit è stata affidata al rifugio per donne Darul Aman di Lahore. Il 12 agosto 2020, un tribunale ha stabilito che doveva tornare da suo marito, apparentemente dietro richiesta della ragazza stessa. È tuttavia utile segnalare che, secondo alcuni, nel rifugio Darul Aman, sostenuto dal governo, le ragazze sikh e indù vengono convinte ad accettare i loro nuovi mariti, al fine di proteggere le loro famiglie da eventuali ritorsioni.
Anche le ragazze cristiane sono vittime di crimini simili. I casi sono così numerosi che ne citeremo solo due, tra cui quello ancora in corso di Huma Younus, quindicenne cattolica rapita il 10 ottobre 2019 a Karachi dal musulmano Abdul Jabbar, il quale l’ha violentata, convertita forzatamente all’Islam e costretta a sposarlo. Nonostante i suoi genitori avessero fornito documenti che attestavano la minore età di Huma, confermata in seguito da un esame medico, il 3 marzo 2020 l’Alta Corte del Sindh ha confermato le nozze, asserendo che la giovane aveva già avuto le prime mestruazioni e poteva quindi contrarre matrimonio. Il tribunale non ha tenuto conto del Sindh Child Marriage Restraint Act, che proibisce i matrimoni dei minori di 18 anni. L’avvocato della sua famiglia, Tabassum Yousaf, ha dichiarato che Huma aveva parlato con i suoi genitori al telefono e aveva detto loro che era stata costretta ad avere rapporti sessuali con il suo rapitore, a causa dei quali era rimasta incinta, e che era confinata in una stanza della casa in cui era segregata. Nel novembre 2020, Huma Younus era ancora tenuta in ostaggio. L’altro caso, ovvero quello di Arzoo Raza, una ragazza cristiana di 13 anni, mostra un coinvolgimento attivo della magistratura e di altre autorità governative. Arzoo è stata rapita e costretta a sposare un uomo musulmano di 44 anni. Sebbene l’Alta Corte del Sindh avesse inizialmente considerato il matrimonio valido, accettando le argomentazioni del rapitore di Arzoo, dopo un esame medico, lo stesso tribunale ha attestato che la giovane fosse minorenne e ha ordinato che fosse restituita alla sua famiglia. Un’ulteriore udienza del 23 novembre 2020 ha stabilito che Arzoo dovesse rimanere in un rifugio gestito dal governo fino ai 18 anni.
Anche dopo la liberazione, la vita in Pakistan per le ragazze rilasciate rimane molto difficile, come mostra il caso di Maira Shahbaz. La ragazza cattolica di 14 anni è stata rapita a Madina Town, vicino a Faisalabad, il 28 aprile 2020. Il 4 agosto l’Alta Corte di Lahore ha riconosciuto valido il suo matrimonio, ma due settimane dopo la giovane è riuscita a fuggire dal suo rapitore. Dopo aver ricevuto ripetute minacce di morte, Maira e i suoi familiari sono oggi costretti a nascondersi.
Per il cardinale Joseph Coutts, «Il fenomeno dei rapimenti, delle conversioni forzate e dei matrimoni forzati dovrebbe essere affrontato sulla base dei diritti umani fondamentali, piuttosto che farne una questione religiosa». In un appello per il rispetto dei diritti delle minoranze, il porporato pachistano ha spiegato che «è responsabilità dello Stato fornire protezione e assicurare la giustizia ad ogni cittadino, senza distinzioni di credo, cultura, etnia e classe sociale».
Purtroppo questi diritti non sono ancora garantiti in Pakistan, come si è reso evidente durante la prima epidemia di COVID-19. Mentre il virus – soprannominato da alcuni il «virus sciita» – si diffondeva, vi sono state numerose segnalazioni di pacchi, viveri e dispositivi di protezione individuale negati a indù e cristiani. Stando a quanto riportato, nella zona di Korangi, a Karachi, i cristiani locali sarebbero stati costretti a recitare la kalima, la dichiarazione di fede islamica, per poter ricevere gli aiuti. Dal momento che si sono rifiutati, sono stati loro negati i beni di prima necessità. Al contrario, la Chiesa cattolica ha distribuito cibo e beni di prima necessità a tutti i bisognosi, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa.
Per quanto riguarda le misure relative al COVID-19, mentre chiese e templi nel Punjab e nel Sindh sono stati chiusi volontariamente dai rispettivi leader religiosi a seguito di un aumento delle infezioni, le moschee sono rimaste aperte. Il governo, temendo ripercussioni, ha scelto di non intervenire.
Nonostante la promessa elettorale del primo ministro Imran Khan di un “Naya Pakistan”, un nuovo Pakistan, in cui siano garantiti «i diritti civili, sociali e religiosi delle minoranze», la strada verso tale realtà è ancora molto lunga e piena di ostacoli. La visione di Khan relativa alla costruzione di un moderno “Stato di Medina” simile a quello stabilito dal Profeta Maometto 14 secoli fa sta contribuendo alla radicalizzazione in un sistema politico già fortemente permeato dall’islamismo.
Come indica l’ampio, ma non esaustivo, elenco di incidenti sopra citato, la religione nel Paese asiatico è ancora fonte di discriminazione e negazione di diritti. Non sorprende quindi che nel 2018 il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti abbia designato per la prima volta il Pakistan come «Paese che desta particolare preoccupazione».
Discriminazioni, accuse di blasfemia, rapimenti di donne e ragazze e conversioni forzate tormentano ancora la vita quotidiana delle minoranze religiose. L’uso persistente di libri di testo e programmi scolastici con contenuti ostili agli sciiti e ai membri delle minoranze religiose lascia ben poche speranze per il futuro.
A tutto ciò si deve aggiungere la proliferazione di gruppi terroristici islamici, spesso autori di attacchi contro gli sciiti e le minoranze religiose. Il Tehrik-i-Taliban Pakistan e i gruppi ad esso affiliati costituiscono la maggiore minaccia alla sicurezza interna del Paese, mentre lo Stato Islamico-Provincia Khorasan è particolarmente abile a sfruttare le fragili linee di faglia settarie del Pakistan. Nel maggio 2019 lo Stato Islamico ha annunciato la creazione di una «provincia del Pakistan» (Wilayat Pakistan) dopo aver rivendicato molteplici attacchi nella provincia del Balochistan.
La vicinanza del Pakistan all’Afghanistan, il suo stretto coinvolgimento nei colloqui tra Stati Uniti e talebani, così come nel dialogo intra-afghano e le elezioni presidenziali afgane influiranno sicuramente sulla sicurezza interna del Pakistan. Questo a sua volta avrà un impatto sulle già scarse prospettive di libertà religiosa nel Paese.